di Giovanni Dore (Avvocato esperto di diritto comunitario)
Le inchieste giornalistiche dei giorni scorsi, perfino più della frustrante percezione di chi si trova a viaggiare da e per la Sardegna, inchiodano la classe dirigente sarda di fronte ad evidenti responsabilità.
Ventisei anni fa al varo della Legge “Attili” (n.144/99) si aprivano le porte per il “rinascimento” della mobilità sarda: un fondo di 100 miliardi di lire l’anno da dividersi tra trasporto aereo e quello (marittimo) delle merci, che avrebbe dovuto preparare il terreno alla imminente cessazione della tratta merci Golfo Aranci-Civitavecchia a carico delle Ferrovie dello Stato ed alla non lontana scadenza della convenzione Tirrenia, che, con un servizio pur discutibile, garantiva un ampia gamma di collegamenti tra i porti della Sardegna e quelli principali della penisola a costi contenuti, sempre a carico dello Stato.
L’anomalo susseguirsi di fattori e vicende che solo la politica sa articolare ha invece offerto un sistema di continuità “monco” e povero di risorse statali, pure dovute in virtù dei principi di coesione stabiliti dall’art. 119, comma 5 della Costituzione.
Le risorse della legge 144 sono state “dimenticate” a Roma nell’erronea interpretazione del famoso accordo sulle entrate regionali che, per legge, aveva semplicemente attribuito alla Regione le “funzioni” (e non già i “costi”) della continuità e così vi supplisce il bilancio regionale con circa 60 milioni per le sole tratte per Roma e Milano, essendo nel tempo venuta meno la c.d. CT2 che aveva garantito fino a 10 rotte di servizio pubblico verso le altre principali città della penisola.
La proposta di legge per assicurare la continuità per le merci (al quale il sottoscritto collaborò in qualità di esperto) è stata chiusa in un “cassetto” del consiglio regionale oltre 10 anni fa.
Infine tra il 2007 ed il 2009 l’ineffabile Ministro Matteoli, dopo aver imposto un tetto alle sovvenzioni pubbliche (c.ca 50 milioni di euro per le tratte sarde) e liberalizzato le tariffe nel periodo estive (con relativa “esplosione” dei costi a danno della fragile industria turistica isolana), ha infine rinnovato per altri vent’anni (sic) la convenzione con la Tirrenia creando i presupposti per una privatizzazione “beffa” conclusasi col passaggio del monopolio statale ad un privato.
Così oggi dobbiamo prendere atto che, sulla base di uno studio di due esperti dell’Università di Cagliari (Meloni e Sanjust), cittadini ed aziende che risiedono in Sardegna scontano un “gap” di 660 milioni di maggiori costi dovuti ai trasporti per il “continente”.
Senza voler semplificare con ricette miracolistiche, il modello “corso”, per offerta complessiva e stanziamenti statali (c.ca 175 milioni l’anno in favore di una popolazione di ben cinque volte inferiore alla nostra !) pare da guardare con interesse.
Ma, oltre alle indispensabili risorse pubbliche, bisogna ripartire in due settori.
Su quello aereo, recuperando la CT2, sulla base della principi sanciti nella decisione della Commissione dell’aprile 2007, che non risultano superati né dalle disposizioni del nuovo reg. 1008/08, né dalla (tenue) offerta di libero mercato presente su alcune tratte.
Su quello marittimo, sollecitando una decisione della Commissione europea che, inevitabilmente, sancirà l’illegalità dell’attuale sistema di sovvenzioni. Ed obbligando lo Stato a mettere subito a bando i relativi oneri in favore di quel vettore che, finalmente, renderà il servizio (passeggeri e merci) necessario ai sardi per vivere con la stessa dignità dei concittadini che risiedono sulla terra ferma.
(2909)
Insularità? Costa ai sardi 660 milioni l’anno. Costo dovuto al fatto che questa distanza reale è una realtà virtuale molto più lunga. Lo hanno spiegato gli esperti dell’Università di Cagliari che hanno condotto la ricerca, Italo Meloni e Benedetta Sanjust di Teulada. Quanto costa l’insularità? Tempo, chilometri e denaro. Sul primo punto tutti sono d’accordo: basta guardare partenze e arrivi dei traghetti. Su distanze e soldi la cosa è più complicata. Ma ora c’è uno studio che, sulla base di alcuni indicatori, calcola matematicamente spazio e denaro che si consumano in più rispetto a una rete di collegamento senza il mare di mezzo.
Subito i risultati: la Sardegna deve coprire 323 chilometri in più rispetto a un’altra regione sulla “terraferma”. E spende circa 660 milioni di euro in più all’anno. Costo dovuto al fatto che questa distanza reale è una realtà virtuale molto più lunga.
Per l’esattezza con circa 286 milioni in più per le merci e 347mila per i passeggeri. Lo hanno spiegato gli esperti dell’Università di Cagliari che hanno condotto la ricerca, Italo Meloni e Benedetta Sanjust di Teulada. Uno studio che entra nel dettaglio. Da Olbia a Civitavecchia, ad esempio, la distanza reale è di 230 chilometri. Ma in mezzo c’è il mare. E, chi deve raggiungere il Lazio o trasportare le merci in “continente”, ha bisogno di salire su una nave. Con un tragitto che non è certo paragonabile a un Cagliari-Porto Torres con un tempo di percorrenza di due-tre ore. Anche da questa considerazione nasce lo studio presentato questo pomeriggio. Risultato? Quei 230 chilometri devono essere più che raddoppiati. Con la Sardegna che, in una ipotetica cartina geografica (disegnata dallo studio) si ritrova “scalciata” verso l’Africa a 553 chilometri dalle coste del Lazio.
“Noi partiamo dal tempo che occorre per il collegamento marittimo tra Olbia e Civitavecchia – ha spiegato Meloni – Tenendo presenti anche alcune variabili. Ad esempio che si debba partire per forza da un certo posto e a un certo orario”. Ed ecco la domanda e il tentativo di dare una risposta: ipotizzando che una persona viaggi a 60 chilometri all’ora con la propria auto quanti chilometri percorre nel tempo che occorre per il percorso con il traghetto? E poi quanto costano tempo e chilometri in più?. “Il convegno – ha sottolineato Anna Maria Pinna dell’Ateneo di Cagliari – è la parte finale di uno studio durato due anni. La Sardegna, non solo per i trasporti ma anche per l’energia, paga il prezzo di non essere agganciata a un network. Prendendo un esempio del passato, non è un caso che la ferrovia qui sia arrivata così tardi”. Il caso Sardegna è stato studiato e confrontato con altre ventidue isole.