Concessioni balneari: il parlamento “CANCELLA” (per ora) la sentenza della Corte Di Giustizia.

     di Giovanni Dore – avvocato esperto di diritto Comunitario.

    Una “maledetta” estate, quella del 2017, per i concessionari di attività balneari in Italia, un’ aurora insperata quella per gli altri imprenditori che agognano il litorale quale metà dei propri affari.

    Pareva questo il risultato della “raffica” di vent du nord con la quale i giudici di Lussemburgo la scorsa settimana avevano spazzato via il “maccheronico” sistema delle concessioni balneari italiane per sancire il principio dell’assegnazione con selezione aperta a tutti.

    Ma il Parlamento, nello spazio di un solo fine settimana, ha approfittato della brezza “levantina” per dare il solito “colpo di spugna” che rimette (per ora) le cose come stavano.

    La vicenda è nota, ma vale la pena di ripercorrerla.

    Il codice della navigazione italiano, anno domini 1942, all’art. 37 stabiliva la preferenza, tra più aspiranti di concessione “balneare”, a coloro i quali ne fossero già titolari. E poiché le attività marine, nel tempo, divenivano sempre più redditizie, la concessione, sostanzialmente, si trasformava in perpetua: rinnovi automatici di padre in figlio, di nipote in pronipote, con la sola variante di un possibile (onerosissimo) accordo economico tra privati per i subentri.

    Nel 2008, dopo l’approvazione della “famigerata” direttiva Bolkestein sulle liberalizzazioni, la Commissione Europea apre una procedura di infrazione contro l’Italia che, apparentemente ligia, l’anno dopo modifica la norma, abolendo il rinnovo automatico e prevedendo la licitazione privata per l’assegnazione delle concessioni.

    Ma il popolo degli “azzeccagarbugli” non poteva astenersi dall’emanazione di nuove “grida” di manzoniana memoria che rimettevano tutto in discussione: il “combinato disposto”, assemblato in un paio d’anni dall’ineffabile duo (a loro insaputa) Tremonti (Berlusconi) – Monti, sancisce la proroga automatica delle concessioni, dapprima al 2015 e poi al 2020. Dieci anni, dunque, un‘eternità (per gli “esteti” della materia il tutto può essere visionato nell’art. 1, comma 18, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 194, convertito dalla legge 22 febbraio 2010, n. 25, come modificato dall’art. 34-duodecies della legge 17 dicembre 2012, n. 221 di conversione del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 – sic).

    La Commissione riparte all’ attacco e fioriscono i contenziosi fino all’ inevitabile epilogo della Corte Giustizia, i cui effetti parrebbero già cancellati dal Parlamento. D’altronde, gli interessi in gioco sono milionari e la concorrenza – è cosa nota – nel bel paese piace solo a chi non la subisce.

    Passata la “sbornia” estiva, ci auguriamo invece che la politica operi in modo equo e tempestivo, partendo da alcuni principi ricavabili dal dictum della Corte comunitaria, perché altrimenti assisteremo ad una infinita guerra giudiziaria che potrebbe infliggere una dannosa ferita all’economia turistica del Paese (oltreché il solito pessimo spettacolo).

    In primo luogo, la gara tra i nuovi concessionari pare indefettibile: tutta la legislazione nazionale (e quella sarda in particolare) è volta all’obbligo di pianificazione con uso limitato dei litorali per le attività connesse alla balneazione, per cui opera l’art. 12 della direttiva comunitaria che impone detta “selezione” nel caso di “scarsità di risorse naturali”.

    In secondo luogo la proroga delle concessioni in essere potrà valere solo per il tempo necessario allo svolgimento delle procedure di “gara”.

    In terzo luogo il “legittimo affidamento” dei concessionari attuali può esser salvaguardato nel soli casi in cui il provvedimento di concessione sia stato attribuito o rinnovato prima dell’entrata in vigore della dierettiva “Bolkestein” (2006) oppure a seguito di procedura “aperta” e non (come quasi sempre è accaduto) “ad personam”. Tutt’al più, nei bandi potranno essere previste delle forme di tutela per coloro che non si (ri)aggiudicassero la concessione mediante una compensazione degli investimenti non ammortizzati da porsi a carico dei subentranti.

    In ultimo luogo, ma qui già la normativa comunitaria scongiurava tale rischio, la procedura di selezione non deve esser basata su una gara d’appalto, con le conseguenti lungaggini e pericolose corse al rialzo che rischierebbero di spazzare via i nostri piccoli imprenditori, ma su un punteggio da attribuirsi al concorrente “che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione” e “risponda ad un più rilevante interesse pubblico” così come il già citato art. 37 del codice della navigazione – in tale parte mai cassato – tuttora dispone.

      (31162)

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