Le sirene hanno suonato da Natale a Sant’Efisio e in tanti hanno provato a trovare un cavillo o una norma (magari del secolo scorso) per opporsi a quanto era già scritto fin dalla primavera scorsa: in assenza di P.U.L. i chioschi del Poetto dovevano essere rimossi in autunno per poi essere riposizionati in primavera.
Ovvio che al cittadino medio tale “imposizione” sia sembrata un abuso, l’affermazione dell’orpello burocratico sulla logica, un inutile aggravio dei costi ai concessionari, tra l’altro, in un anno critico per l’economia nazionale e di deficit di luoghi di svago accessibili per l’indegno modo in cui questi ultimi sono stati “trattati” nell’ultimo ventennio.
Meno comprensibile che detto (oggettivo) disagio sia stato cavalcato, a vario titolo non sempre cristallino, da amministratori e addetti ai lavori, nonostante l’interpretazione, sufficientemente omogenea, che le varie magistrature avevano dato alle norme vigenti proprio in relazione alle vicende della spiaggia cittadina.
E, alla luce dei recenti provvedimenti regionali (una leggina stiracchiata ed inutile ed un “sacrosanto” parere sulla indefettibile tutela della spiaggia), nemmeno ce la si può prendere per la mancata approvazione del P.U.L., perché – ad oggi – sulla spiaggia del Poetto non si può realizzare, in via permanente, nemmeno un metro cubo.
Il vero problema è, infatti, che gli stabilimenti balneari in cemento hanno un volume di c.ca 61.000 mc, esorbitante rispetto ai limiti vigenti. Col paradosso che tali mastodonti, perlopiù orribili e perfino dannosi per l’erosione dell’arenile, impediscono la realizzazione di strutture leggere ed in materiale eco che cuberebbero appena 8000 mc complessivi.
Lasciandoci dietro le improduttive contese passate, a mio parere, si può chiudere la vicenda solamente in tre modi:
a) creare una sola entità “Poetto” tra Cagliari e Quartu, magari annessa al Parco di Molentargius, che consenta di “diluire” la cubatura della parte cagliaritana sull’intero Poetto, da pianificarsi come unicum;
c) concludere un accordo un accordo con la Regione (e magari con lo Stato) per ridurre le cubature degli stabilimenti in cemento in favore di quelle, modeste, necessarie per i chioschetti;
b) prevedere lo spostamento dei chioschi dalla spiaggia alla strada che, nel frattempo, diventerà pedonale.
Nutrendo poche speranze di accordi, a breve, con altri enti è proprio quest’ultima la strada da battere, avendo cura di prevedere gli spazi delle “nuove” concessioni, ove far sorgere le strutture permanenti, in coerenza con quelle demaniali, le quali, ovviamente, potrebbero continuare ad essere utilizzate da marzo a dicembre nel periodo di massimo afflusso in spiaggia.
da SARDEGNA QUOTIDIANO (G. Dore 20.05.13)
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